30/06/08

eccellente speranza di ricominciare un nuovo trattamento

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Sono stati presentati i primi risultati dello studio PROVE3, un esperimento clinico realizzato su pazienti infettati con il genotipo 1 dell'Epatite C, non rispondenti o recidivi a un primo trattamento con interferone peguilato, ritrattati utilizzando l'inibitore di proteasi TELAPREVIR in combinazione con l'interferone peguilato (PEGASYS) e ribavirina.

I dati presentano i risultati di risposta sostenibile dopo 12 settimane dalla fine del trattamento, cio che é chiamato RVS-12.Tradizionalmente in relazione alla risposta sostenibile é che il PCR sia realizzato nella ventiquattresima settimana, ma i dati conseguiti nella dodicesima settimana di questo studio, sono cosí sorprendenti che meritano una divulgazione dovuto alla speranza che rappresentano per tutti quelli che non hanno risposto positivamente al trattamento.

La seconda fase dello studio include pazienti non rispondenti e pazienti recidivi al trattamento realizzato con interferon peguilato, pazienti per i quali attualmente non esistono alternative di trattamento efficace.

.Questi pazienti hanno inizialmente ricevuto il trattamento con la combinazione de Telaprevir, interferone peguilato e ribavirina durante 12 settimane. In seguito é stato ritirato e continuato il trattamento solamente con l'interferone peguilato e la ribavirina, completando un trattamento di 24 settimane. Un altro gruppo di controllo é stato trattato in modo tradizionale, con l'interferone peguilato e e la ribavirina (senza il Telaprevir) durante 48 settimane.

Hanno partecipato allo studio che ha ricevuto il Telaprevir un totale di 115 pazienti, dei quali 66 pazienti non rispondenti al primo trattamento ( quelli che non sono mai riusciti a negativizzare il virus durante il trattamento con il peguilato), piú 40 pazienti recidivi ( che nel trattamento precedente sono riusciti a negativizzare, ma alla fine del trattamento il virus é riapparso) e, nove pazienti mai trattati prima. Tutti infettati con il genotipo 1.

Dopo dodici settimane dalla fine del trattamento il virus continua irrivelabile nei seguenti valori:

Pazienti non rispondenti al primo trattamento: 41% virus non rilevabile dopo dodici settimane dalla fine del trattamento

Pazienti recidivi al primo trattamento: 73% virus non rilevabile dopo 12 settimane dalla fine del trattamento
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Pazienti vergini ( mai trattati prima) : 44% virus non rilevabile dopo 12 settimane dalla fine del trattamento

. Il gruppo di controllo, formato da 114 pazienti, trattati solamente con interferone peguilato e ribavirina ancora non ha completato il trattamento, stando al momento nella trentaseiesima settimana del trattamento.

Dobbiamo aspettare i risultati della ventiquattresima settimana dalla fine del trattamento, ma ho la speranza (quasi certezza) che riceveremo un eccellente notizia quando il PCR della ventiquattresima settimana sará presentato

Carlos Varaldo
Grupo Otimismo- Brasile
traduzione Muriella Colajacomo

11/06/08

Iniziata la fase 3 della sperimentazione con l'inibitore di proteasi Boceprevir

02/06/2008

La Schering- Plough ha divulgato negli Stati Uniti l'inizio della fase 3 ( fase finale) della sperimentazione clinica con il Boceprevir ( un inibitore di proteasi) in pazienti infetti del genotipo 1 dell'epatite C

Lo studio é sviluppato con due diversi tipi di pazienti, uno di pazienti mai trattati prima e un altro di pazienti che non hanno risposto ad un precedente trattamento, questi sono considerati come i casi più difficili.

Lo studio , randomizzato, doppio ceco, con placebo controllato, valuta l'efficacia del Boceprevir in combinazione con il PEGINTRON e la ribavirina, comparando i risultati con il trattamento convenzionale di PEGINTRON e ribavirina. Lo studio , multi centrale, si realizzerà allo stesso tempo in diversi paesi, includendo un totale di 1400 pazienti.

I pazienti iniziano il trattamento con il PEGINTRON e la ribavirina nelle prime quattro settimane, quando viene incluso il Boceprevir in combinazione con i due medicinali. Questa strategia, secondo i ricercatori, e`fondata sul fatto che è nella quarta settimana che si incontra una minore concentrazione di virus, e quindi l'inibitore di proteasi sarà maggiormente efficace.

La ricerca con i pazienti mai trattati prima ha ricevuto il nome di HCV SPRINT-2 (HCV Serine Protease Inhibitor Therapy-2). Questa a sua volta è divisa in altri due gruppi,di cui uno riceverà 28 settimane di trattamento e l'altro 48 settimane, sempre entrando con il Boceprevir dopo la quarta settimana di somministrazione di PEGINTRON e ribavirina. L'obbiettivo è verificare se sarà possibile trattare il genotipo 1 con solamente 28 settimane di trattamento, includendo approssimativamente 1000 pazienti, dei quali 150 afrodiscendenti .

Già il gruppo che ricerca sulle opzioni di ritrattamento in pazienti non rispondenti ad un trattamento precedente ha ricevuto il nome di HCV RESPOND-2 ( Retreatment with HCV Serine Protease Inhibitor Boceprevir e PEGINTRON/REBETOL) ha come direttiva provare l'efficacia del trattamento combinato il Boceprevir con il PEGINTRON e la ribavirina in periodi di trattamento di 36 e 48 settimane. Questo gruppo è progettato per includere 375 pazienti non rispondenti.


COMMENTARIO DELL'Autore

. So che molti pazienti staranno chiedendosi come potersi iscrivere, ma anticipo che questo é impossibile. Una ricerca per essere valida nei suoi risultati è disegnata con criteri rigidi di inclusione. L'invito a partecipare di questa ricerca è realizzato dai propri medici dei centri che fanno parte della ricerca, i quali selezionano i pazienti in funzione della loro storia clinica.

. Gli infettati devono aspettare con calma, dato che questa e altre ricerche stanno in andamento, è così che la conoscenza della malattia e le forme di trattamento progrediscono rapidamente.
Dobbiamo ricordarci che nel 1995 solamente il 12% dei pazienti riuscivano a curarsi. Oggi siamo al 60% , un aumento formidabile nell'avanzo della scienza.


Questo articolo è stato redatto con commentario e interpretazione personale dal suo autore prendendo come base la seguente fonte:
Release da Schering-Ploug - USA

Carlos Varaldo
Grupo Otimismo- Brasile

Tradotto dal portoghese da Muriella Colajacomo Málaga

28/05/08

Aspettativa di vita a rischio per chi presenta enzimi epatici elevati

Uno studio epidemico realizzato dall'Associazione Americana per lo Studio delle Malattie del fegato (AASLD) e ricercatori della Clinica Mayo degli Stati Uniti mettono in guardia sopra il fatto che che : risultati elevati negli esami degli enzimi del fegato, sono un pronostico di una minore aspettativa di vita. L'attenzione é importante perché approssimativamente una in dieci persone presenta elevazioni in per lo meno uno degli enzimi del fegato, senza che necessariamente si tratti di un individuo che faccia un uso esagerato di bevande alcoliche o che sia infettato con un qualche tipo di epatite.
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Sono due i principali enzimi del fegato, conosciuti come aspartato aminotranferasi (AST o TGO) e alanina aminotransferasi (ALT o TGP) . Concentrazioni alte di questi enzimi nel sangue tendono ad indicare alterazioni o malattie del fegato. Presumibilmente, molti casi sono dovuti a deposito di grasso nel fegato, condizione conosciuta come esteatosi.
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I ricercatori della Clinica Mayo, osservando studi che mettevano in relazione mortalità con livelli elevati di transaminasi, pubblicati in altri paesi, hanno realizzato una ricerca per confermare se nella popolazione degli Stati Uniti si era creata una situazione simile. Per far questo utilizzarono i prontuari dei pazienti assistiti nella Clinica durante l'anno 1995 che , tra esami di diverso tipo avevano realizzato anche quelli delle transaminasi. Quelli che presentavano livelli sopra il normale furono seguiti fino ad aprile del 2006 per determinare la sopravvivenza di questi pazienti e confrontarla con i dati statistici della popolazione in generale.

Di 6823 pazienti assistiti che realizzarono esami di transaminasi, 911 (13%) presentavano livelli sopra il normale. Sono stati esclusi quelli che cambiarono città o quelli che sono morti prima di completare due anni dalla data dell'esame, dato che si supponeva trattarsi di casi terminali.

Per i pazienti che nel 1995 presentavano livelli di AST/TGO fino a due volte il valore massimo, il rischio di morte aumentava in 39% quando confrontato con individui con transaminasi normali. In quelli che presentavano livelli superiori due volte il valore massimo, il rischio di morte si alzava addirittura all'87%.

L'aumento del rischi di morte fu calcolato considerando le statistiche di obito del governo americano, le quali informano che nella fascia di età dei partecipanti alla ricerca il rischio di morte per qualsiasi motivo nella popolazione in generale è do 0,95% all'anno, passando ad essere di 1,32% se il livello de AST/TGO dieci anni prima era fino a due volte il valore massimo. Già negli individui che avevano il livello di AST/TGO superiore a due volte il valore massimo normale, il rischio di morte aumentava a 1,78% all'anno.

La cosa sorprendente dello studio è che 33,6% delle morti non furono causate da problemi epatici, ma a causa di problemi cardiovascolari, il che indica la necessità di approfondimenti cardiologici negli individui che presentano transaminasi elevate. È riconosciuto che problemi cardiaci possono aumentare i livelli delle transaminasi, ma non si conosceva la gravità che questo rappresenta nel rischio di morte.

Dovuto al fatto che approssimativamente il 10% della popolazione presenta transaminasi elevate sarebbe prudente che in tutte le visite mediche nelle quali sia sollecitata la realizzazione dell'emocromo sia richiesto allo stesso tempo l'esame delle transaminasi, il quale e`un esame semplice, poco caro, che utilizza lo stesso sangue raccolto per l'emocromo. Prima di qualsiasi alterazione il medico dovrà sollecitare esami complementari per realizzare la diagnosi di quello che sta creando problemi al fegato e mettendo in rischio la vita del paziente.

Questo articolo è stato redatto, commentato e interpretato personalmente dal suo autore prendendo a riferimento la seguente fonte:
Hepatology; 2008 Mar;47(3):880-7. - "Serum aminotransferase activity and mortality risk in a United States community." Lee, Tae Hoon; Kim, W. Ray; Benson, Joanne; Therneau, Terry; Melton, III, L. Joseph.


Carlos Varaldo
Grupo Otimismo- Brasile

Commento dell'amministratrice del Blog
Forse alcune parti di questo articolo non hanno molto a che vedere con la realtà italiana , specialmente per quanto si riferisce al commento dell'autore, Negli ospedali del nostro paese i medici normalmente abbinano alla richiesta dell'emocromo gli esami per le transaminasi. Al contrario ci terrei a far notare una cosa : sono molto restii a prescriverti esami piú completi di cardiologia .
Nel mio caso pur avendo in famiglia molti casi di gravi scompensi cardiologici ed essendo il valore delle mie transaminasi pericolosamente sempre alto ( giã mi sono sottoposta a due trattamenti) avendo tra l'altro manifestato più volte palpitazioni e dolori,il massimo che mi hanno prescritto é stato un elettrocardiogramma e solo recentemente un Ecocuore.
Da notare nessuno di questi esami è nella vostra lista di esenzione del ticket...... e certo che con i 240 Euro di pensione di invalidità......
Muriella Colajacomo Malaga

27/05/08

la differenza tra "cura"e "risposta sostenibile"

Qual'è la differenza tra "cura" e "risposta sostenibile" nell'epatite C?


Per fortuna circa la metà degli infettati con epatite C che hanno ricevuto il trattamento con interferone e ribavirina riescono a curarsi dalla malattia, cura questa che è già accettata come permanente.

Ma quando possiamo affermare che qualcuno è curato? La risposta più semplice potrebbe essere che la cura esiste quando non si incontra più il virus nell'organismo , ma qui affrontiamo un altro problema, in verità ancora non esistono test che possano indicare la presenza di un unico virus nell'organismo ( i più sensibili hanno bisogno di un minimo di 5 UI/ML perchè possano riconoscerlo), così sempre rimarrà il dubbio se ancora resta qualche virus nell'organismo il quale possa un giorno o l'altro ritornare a moltiplicarsi.

Per questo quando alla fine di un trattamento un paziente "negativo" o " irrilevabile" al test, non possiamo parlare ancora in cura. In questo momento si dice che il trattamento ha ottenuto una risposta virologica, ma per sapere veramente se il trattamento ha avuto un successo tale da eliminare il virus dall'organismo sarà necessario aspettare ancora sei mesi, quando si farà un nuovo esame che comprovi l'inesistenza del virus.

Questo periodo è necessario affinchè, se esisteva una infima quantità di virus, non rilevato dall'esame eseguito alla fine del trattamento, lo stesso si sarà riprodotto in quantità sufficiente da essere rilevato nell'esame finale. Purtroppo, conformemente con certi studi, il 20% di malati che terminano i trattamenti come "irrilevabili" saranno recidivi al virus e il risultato finale sarà nuovamente positivo. Uno shock molto grande per quelli che pensavano di essere guariti.

Questo esame realizzato dopo sei mesi dalla fine del trattamento è chiamato "risposta sostenibile" e l'esperienza di migliaia di pazienti trattati negli ultimi dieci anni permette di affermare che questo risultato è considerato la "cura" dall'epatite C. Tocca a noi chiarire che curare l'epatite C eliminando il virus dall'organismo non significa che il paziente è ritornato ad avere un fegato normale, perchè il danno esistente continua creando problemi al funzionamento dell'organo e potrà aver bisogno di molti anni, persino decadi, per potersi recuperare dalle aggressioni. Attenzioni dovranno essere seguite permanentemente per non aggredire il fegato con altre malattie o agenti come le bevande alcoliche.

Diversi studi confermano che praticamente tutti i pazienti che riescono a "curarsi" rimangono così con il passare degli anni. Alcune di queste pubblicazioni possono essere consultate seguendo le referenze citate alla fine di questo articolo.

Nei pochi casi in cui l'infezione "ritorna" dopo un periodo di sei mesi non si può identificare se il fatto è dovuto ad una nuova infezione o se realmente è stato il virus dell'infezione originale che è riapparso. La speculazione dei ricercatori della maggior parte degli studi è che gli individui che presentano una re-infezione si inquadravano in pazienti con comportamento di rischio, specialmente in usuari di droga, il che li collocherebbe a rischio di nuove infezioni già che nell'epatite C una prima infezione non conferisce l'immunità.

Nelle epatiti A e B la possibilità di essere infettato è unica nella vita, dato che un infezione curata di queste epatiti conferisce l'immunità, tale e quale ad un vaccino, ma nell'epatite C questo non succede dovuto al fatto che si tratta di un virus mutante con una varietà di genotipi e sottotipi molto grande. E' addirittura normale incontrare pazienti infettati con più di un genotipo, il che dimostra che è stato esposto al virus in diverse opportunità.

. Vediamo così, che ogni 100 pazienti che hanno completato il periodo di sei mesi dopo il trattamento ottenendo la "guarigione", 1 di loro ritorna a soffrire della malattia in periodi che, conforme agli studi, variano fino ad otto anni. Per essere questa una percentuale molto piccola e che oltretutto può trattarsi di una nuova infezione dobbiamo commemorare la "cura " in questi pazienti-


Sò che quell'altra metà che non ottiene la guarigione con il trattamento può addirittura disperarsi, alcuni si deprimono, altri si arrabbiano e persino qualcuno semplicemente si rassegna, ma qui dobbiamo collocare due fattori positivi; uno che durante il periodo di trattamento il fegato ha avuto l'opportunità di rigenerare cellule epatiche e questo significa come minimo "guadagnare" tempo, collocando il paziente in un livello più tranquillo in relazione alla possibile apparizione di problemi più gravi. Secondo che, anche ancora non se ne conosce il motivo, è stato osservato che l'incidenza del cancro al fegato in pazienti che hanno ricevuto il trattamento con l'interferone, è minore se non addirittura rara. Vi sembra poco aver raggiunto questi due benefici? Vediamo che il trattamento non è stato totalmente tempo perso, perchè comunque se ne ottengono benefici.



Questo articolo è stato redatto con commentario e interpretazione personale del suo autore, prendendo come base le seguenti fonti:
- A. M. Di Bisceglie; S. L. George; K. L. Mihindukulasuriya; J. Hoffmann; B. R. Bacon - Abstract 337 - 57° AASLD - Clinical, biochemical, virologic and histologic outcomes of chronic hepatitis C following sustained virologic response (SVR) to HCV therapy: a prospective 5 year cohort study.

- Swain MG, Lai M-Y, Shiffman ML, et al. Sustained virologic response (SVR) resulting from treatment with peginterferon alfa-2a (40KD) (PEGASYS) alone or in combination with ribavirin (COPEGUS) is durable and constitutes a cure: an ongoing 5-year follow-up. Digestive Disease Week; Washington, DC: 2007. Abstract 444.

- P Pradat, HL Tillmann, S Sauleda, and others. Long-term follow-up of the hepatitis C HENCORE cohort: response to therapy and occurrence of liver-related complications. Journal of Viral Hepatitis 14(8): 556-563. August 2007. Wietzke-Braun P, Manhardt LB, Rosenberger A, Uy A, Ramadori G, Mihm S.Spontaneous elimination of hepatitis C virus infection: A retrospective study on demographic, clinical, and serological correlates. World J Gastroenterol 2007 August;13(31):4224-4229

- Formann E, Steindl-Munda P, Hofer H, et al. Long-term follow-up of chronic hepatitis C patients with sustained virological response to various forms of interferon-based anti-viral therapy. Aliment Pharmacol Ther. 2006;23:507-511.

- M.G. Swain, M-Y. Lai, M.L. Shiffman, W.G.E. Cooksle), A. Abergel, A. Lin, E. Connel), M. Diago - Journal of Hepatology, Supplement No 1, Volume 46, April 2006, page S3 - DURABLE SUSTAINED VIROLOGICAL RESPONSE AFTER TREATMENT WITH PEGINTERFERON -2a (PEGASYS®) ALONE OR IN COMBINATION WITH RIBAVIRIN (COPEGUS®): 5-YEAR FOLLOW-UP AND THE CRITERIA OF A CURE

- Lau DT, Kleiner DE, Ghany MG, Park Y, Schmid P, Hoofnagle JH. 10-year follow-up after interferon-a therapy for chronic hepatitis C. Hepatology. 1998;28:1121-1127.

- Desmond CP, Roberts SK, Dudley F, et al. Sustained virological response rates and durability of the response to interferon-based therapies in hepatitis C patients treated in the clinical setting. J Viral Hepat. 2006;13:311-315.

- Marcellin P, Boyer N, Gervais A, et al. Long-term histologic improvement and loss of detectable intrahepatic HCV RNA in patients with chronic hepatitis C and sustained response to interferon-alfa therapy. Ann Intern Med. 1997;127:875-881.

- Backmund M, Meyer K, Edlin BR. Infrequent reinfection after successful treatment for hepatitis C virus infection in injection drug users. Clin Infect Dis. 2004;39:1540-1543.

- Veldt BJ, Saracco G, Boyer N, et al. Long term clinical outcome of chronic hepatitis C patients with sustained virological response to interferon monotherapy. Gut. 2004;53:1504-1508.

- Soriano V, Maida I, Nunez M, et al. Long-term follow-up of HIV-infected patients with chronic hepatitis C virus infection treated with interferon-based therapies. Antivir Ther. 2004;9:987-992.

- McHutchison JG, Poynard T, Esteban-Mur R, et al. Hepatic HCV RNA before and after treatment with interferon alone or combined with ribavirin. Hepatology. 2002;35:688-693.

- Reichard O, Glaumann H, Fryden A, Norkrans G, Wejstal R, Weiland O. Long-term follow-up of chronic hepatitis C patients with sustained virological response to alpha-interferon. J Hepatol. 1999;30:783-787.

Carlos Varaldo
Grupo Otimismo- Brasile